Intervista a Giuseppe Fini, autore del libro “Le sprovvedute”
Ciao Giuseppe, “Le sprovvedute” è il tuo primo romanzo?
Ciao Elenia. Sì, è il mio romanzo d’esordio.
Come mai questo titolo?
Il titolo vuole rappresentare certa ingenuità nella quale possono incorrere animi particolarmente puri e sensibili, quando si tratta di soppesare l’indole dei propri compagni, come nel libro accade ai due personaggi femminili di spicco, Arianna e Sofia.
Nel tuo libro ho trovato tanto studio, tanta ricerca lessicale e perfezione: quant’attenzione e quanto amore hai messo in questo tuo romanzo?
Mi fa piacere che l’abbia notato. Non si tratta soltanto di meticolosa attenzione ed amore viscerale per la scrittura, ma anche di un certo tipo di professionalità, irrinunciabile per chi approcci l’arte di scrivere con il rispetto reverenziale che le si conviene. Nella mia concezione, un romanzo che possa definirsi tale, oltre a dover essere meditato adeguatamente e restituire al lettore una rappresentazione impeccabile della vicenda, passando per l’analisi psicologica dei personaggi e per una descrizione attenta e particolareggiata degli stessi, nonché delle ambientazioni e di qualunque altro elemento percettivo, non può in nessun modo essere privo di metrica, di vera musicalità. Se si fa l’esperimento di leggere un testo di narrativa ad alta voce, rispettandone la punteggiatura, ci si accorgerà che soltanto alcuni autori sono in grado di fare della “poesia” pur scrivendo in prosa.
Il tuo testo, a mio umile giudizio, è degno di grandi case editrici; perché la scelta di autoprodurlo?
Sono lusingato del tuo parere. Grazie infinite. Purtroppo, come in ogni altro settore, l’Italia è il Paese delle raccomandazioni, degli obiettivi raggiunti per conoscenze, delle famose spintarelle, e di tutto ciò che si contrappone alla meritocrazia. Il panorama editoriale non fa alcuna eccezione a questo dato di fatto e, per quanto vi siano dei professionisti che stoicamente fanno del principio etico un valore portante del proprio lavoro, lo ritroviamo saturo di piccole realtà che neppure troppo velatamente hanno lo scopo di lucrare sulla proprietà intellettuale degli autori sconosciuti, molto spesso senza nemmeno restituire un minimo di promozione. Per questo accetterei soltanto proposte serie ed oneste, magari anche da parte di nomi che valga la pena pronunciare. In questo senso, con un minimo di coerenza e obiettività, non si può negare il fatto che le nuove piattaforme digitali, consentendo di autopubblicarsi, diano almeno una possibilità di esistere ad autori che altrimenti non potrebbero far altro che prostrarsi, svendersi e prostituirsi nel peggiore dei modi pur di avere diritto a perseguire la propria passione vitale, ma è pur vero che tali piattaforme sono stracolme di imbrattacarte, i quali, per enorme sfortuna dei pochi altri, non fanno che riversarvi di continuo tonnellate di testi senza alcun valore letterario, talvolta così banali e scritti male da risultare illeggibili, abbassando drasticamente la media per tutti. Di qui si può comprendere l’insormontabile pregiudizio, quando non l’aperta ostilità, che i lettori covano contro chi ha la malaugurata faccia tosta di autoprodursi, pregiudizio che in ogni caso fa gioco anche all’editoria ufficiale, in virtù di una delle sue prerogative, ossia quella di orientare il pubblico verso gli autori che “devono” vendere e “devono” emergere.
Un uomo che scrive di violenza sulle donne, una rarità (lodevole); cosa ti ha spinto a scrivere proprio degli stupri?
Mi ha spinto la personale indignazione di uomo verso una società che quotidianamente dimostra con l’indifferenza di tollerare la deprecabile piaga della violenza di genere. Fatte salve le associazioni dedicate che se ne occupano, non mi pare esista nessuna attenzione culturale di massa contro la violenza sulle donne, e in particolare l’opinione pubblica non se ne interessa mai se non per piangere le vittime all’indomani dei misfatti, questo ha del paradossale in un Paese che si definisce “civile”, tanto più se si considera il fatto che qualunque tipo di violenza non è che il frutto di un incommensurabile ammanco di cultura, in particolare di quella del rispetto. Così, ho voluto dare il mio piccolo contributo ad una possibile inversione di tendenza.
Credo che il tuo messaggio si evinca limpidamente nel tuo racconto e lasciamo ai lettori scoprirlo; cos’altro vorresti giungesse a coloro che lo leggeranno?
Mi piacerebbe che il testo portasse il lettore a riflettere sul tema, in una realtà così automatizzata e inumana, fatta di ritmi sempre più frenetici, che a livello massivo ha inibito quasi completamente la capacità di pensare, e considerare le cose con la propria testa.
Io ti ho conosciuto sui social e ho potuto scoprire anche la tua vena poetica -complimenti-; preferisci scrivere romanzi o poesie?
Ti ringrazio. Amo in particolar modo scrivere narrativa, mi piace comporre delle storie e raccontarle. La Poesia, quella vera, come impegno costante, in quanto sintesi dell’immenso, ritengo che sia soltanto per le menti geniali, e non mi annovero fra quelle.
Cos’è per te la scrittura?
Scrivere è come respirare, non potrei farne a meno.
Guardando al tuo futuro, ci sono progetti in vista? Nuovi libri?
Assolutamente sì. Non smetto mai di scrivere, è la mia vita. Sono al lavoro su alcuni nuovi progetti.
Grazie mille Giuseppe, allora spero a presto con il tuo prossimo libro!