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Recensione di “La Resa del Riso”

Cari lettori, come state?

Sono un po’ assente in ambito di recensioni ma sto seguendo delle correzioni.

Oggi, tra una commissione e l’altra, ho terminato questo nuovo romanzo di Elisa Cugliandro. 

Alcuni di voi di sicuro hanno già sentito nominare questa scrittrice di cui ho avuto l’onore di leggere i precedenti testi, ma questo ritengo abbia un peso differente, maggiore.

Non è facile immaginare un mondo in cui è vietato essere felici, ma questa è la realtà a Felix Mors, unica metropoli scampata al Big Bang Climatico.

Un universo distopico in cui anche il sole è bandito, pericoloso come qualsiasi altro elemento in grado di far nascere un sorriso sulla bocca dei suoi disperati – si spera – abitanti.

Tutto, proprio tutto quanto può rendere felici va accuratamente evitato. E d’altra parte un buon suicidio non è negato a nessuno: «Perché in fondo è quello che cerchiamo… Una conclusione della vita triste, amara, degna».

Chi tenta di restare allegro è un malato di mente, è bisognoso di cure e deve essere necessariamente internato per intraprendere un percorso di riabilitazione. Lavoro cui lo stimato psicoterapeuta Gootic certo non si sottrae in qualità di affranta pedina del sistema, pur intuendo subito che al Centro Opuc (Ospedale Per Unità Corrotte) non sarà una passeggiata. Avere a che fare con pazienti così simpatici e rimanere seri è segno di professionalità e sanità mentale, ma sarà sempre più difficile ripulire i pensieri da buffe figure retoriche ed equivoci esilaranti.

La risata del resto – si sa – è un male contagioso e a poco servono le pillole depressive. La gabbia della propaganda ha sbarre fragili contro il potere dell’ironia e del sarcasmo, tanto che anche a Felix Mors provare gioia potrebbe rivelarsi non così sbagliato.

Lo so, sembra un libro di fantascienza che risulta impossibile, lontano dalla realtà, ma non è forse ciò che stiamo vivendo? Una pandemia che può esser paragonata a un Big Bang Climatico e una frustrazione personale tale da non accettare la gioia degli altri ma, soprattutto, un egocentrismo “doloroso” che offusca le nostre possibili felicità e che ci porta a sottovalutare e svilire ciò che ci circonda?

Il libro, che apparentemente non parte di getto, catapulta il lettore in un mondo che non si aspetta e che, se non sta attento, rischia di non capire fino in fondo.

Quando, poi, capisce tutte le similitudini e le metafore che sono diffuse lungo tutto il testo, entra senza accorgersi nell’analisi della nostra società e della psiche comune e del singolo individuo.

Il suicidio, la depressione, la sofferenza… mi hanno fatto pensare a quanto, nel concreto, la cattiveria umana sia estesa nel desiderare il dolore altrui.

Di pari passo, la tristezza del singolo. Quel continuo non sentirsi adatto, all’altezza della gioia, del poter essere felice e della libertà d’espressione.

E il senso d’inadeguatezza? Il bisogno di sentirsi padroni degli altri? Delle loro emozioni?

Molti di voi sanno che io vado da uno psicologo e, nel leggere questo romanzo, ho pensato a quanto lui sia stato fondamentale per affrontare i pensieri e i vissuti più dolorosi e, tra una pagina e l’altra, pensando a Felix Mors. Lo psicologo, figura che dovrebbe esser fondamentale in ogni ambito della vita e in ogni struttura, ha un ruolo determinante nella psiche umana. Se esso non è professionale, attento, capace, può rovinare intere vite e, di riflesso, credo che indubbiamente ogni paziente lo segni in qualche modo. 

Sul piano umano, direi che vi è un’esaltazione dell’importanza della vita, del riuscire a sorridere, di trovare quel qualcosa di positivo, di poter dividere il dolore dalla bellezza e saperne cogliere sfumature.

La gioia, quel filo invisibile che può cambiare la vita di tutti noi sia per osmosi quanto per vita diretta.

Una regola basilare di ogni essenza dovrebbe esser quella di vivere con il sorriso, di saper cogliere le gioie e anche le leggerezze che ci si presentano davanti.

A braccetto, il sostegno, l’amore, l’amicizia, la bontà.

Insomma, con una scrittura sincera, studiata ma non pomposa o noiosa, con metafore, allegorie, similitudini e sorrisi, l’autrice narra ed esprime concetti ed emozioni.

Alla prossima recensione, la vostra Ele