Recensione di “Il male che non c’è”
- Titolo: Il male che non c’è
- Autrice: Giulia Caminito
- Casa editrice: Bompiani
Eccoci qui, cari miei lettori, con una nuova una nuova uscita letteraria.
Sono certa che molti di voi già conoscono questa stupenda autrice di chi vi ho parlato anche in precedenza.
Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani), seguito nel 2019 da Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40) e da L’acqua del lago non è mai dolce(Bompiani 2021), finalista al premio Strega e vincitore del premio Campiello 2021, tradotto in venti paesi.
Qual’è la trama di questa sua nuova uscita letteraria?
Tutto comincia nel tempo dell’infanzia, che Loris trascorre nell’orto di nonno Tempesta. Quando è insieme al nonno, il bisogno eccessivo di leggere per scacciare le angosce scompare e lui impara cose meravigliose come costruire una voliera per allevare i colombi, fedelissimi e iridescenti.
Ma ora Loris ha trent’anni, ha fatto della lettura il suo mestiere, ha un appartamento e una fidanzata. Ma il lavoro in casa editrice è precario, l’ansia di non essere all’altezza dell’età adulta lo schiaccia, lo divora.
Tempesta, i colombi, l’infanzia sembrano perduti per sempre. Giorno dopo giorno, Loris scivola dentro sé stesso, concentrato sui segnali di allarme che il corpo gli manda. C’è un male che lo assedia, ne è certo, un male che nessuno vede tranne lui, così come solo lui vede Catastrofe, la creatura mutaforme– occhi di gatta, pelle di pesce, orecchie da lupa – che gli siede accanto nei momenti più difficili.
Giulia Caminito è, come in tutti i suoi testi, tagliente, essenziale, diretta e onirica.
Trasmette ogni sensazione e situazione con schiettezza ma profondità narrativa.
Descrive l’essenza di situazioni ed emozioni attraverso una scrittura che, anche se non sembra, è ricca di introspezione e psicologia di altissimo spessore.
L’argomento trattato non è né banale né facile. È ostico per via dei “salami sugli occhi” che spesso la società ha e per la mancanza di ascolto vero e di aiuto concreto.
Quando iniziai ad andare in terapia il mio psicologo mi disse che il nostro corpo parla e si esprime, anche per la nostra mente e i nostri sentimenti… nulla di più vero di questo. Ed è in tal modo che il protagonista manifesta ogni paura, ipocondria, fragilità e smarrimento.
In parallelo all’aspetto “visibile a tutti” di questa sofferenza, l’autrice crea perfette immagini dello stato emotivo; dei sentimenti e delle sensazioni che nascono e crescono in Loris.
Leggere “Il male che non c’è” significa scontrarsi con uno spaccato emotivo importante, reale, diffuso e che va spesso a braccetto con la solitudine, il senso d’impotenza e di frustrazione che spesso isolano chi ne soffre generando, di conseguenza, un accrescimento della situazione.
Direi che le parole chiavi di questo superbo romanzo sono sicuramente fragilità, sensibilità, inadeguatezza… sta al lettore scoprire se questi sentimenti si riferiscano al protagonista (che è esempio di molte vite) o al lettore che, forse per la prima volta, si confronta realmente con questa sofferenza e si mette in gioco per crescere e riflettere.
A voi scoprirlo.
Alla prossima recensione, la vostra Ele