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Recensione di “Poi quando torno mi metto a lavorare”

Ciao amici, eccomi qui con un’altra storia per voi.

Siamo nella Lecce degli anni ’80 dove un gruppo di giovani ragazzi sta affrontando l’ingresso nell’età adulta aggrappandosi alla droga che stava prendendo sempre più piede in quel periodo: l’eroina.

Davide, figlio di un’ottima famiglia, entra ed esce da questo mondo malato convinto di esserne superiore e con lui anche Fabrizio, Luca, Paoletto e Martina.

Si parla di gioventù, di dolori, di silenzi, di paura e di droga; quella carogna che devasta chi la usa e chi sta vicino al drogato.

Si parla di amore, di pregiudizio, di abnegazione, di diversità e di silenzio.

Manuela ci va giù pesante e non nasconde il buio che si cela dietro alla droga; non addolcisce la tematica o le emozioni che ci girano intorno ma tuffa il lettore in questo torbido mondo dove tutto prende una dimensione differente e rischia di fagocitare soprattutto chi crede di esserne superiore.

Questo romanzo parla dell’avvento dell’eroina nel panorama salentino ma sinceramente sono convinta che potrebbe adattarsi perfettamente a qualsiasi territorio italiano e si inserirebbe benissimo anche ai giorni d’oggi dove alcune dinamiche sono cambiate ma con la costante del diabolico mondo della droga che attira a sé i più deboli trascinando con loro, in un modo o nell’altro, chi cerca di salvargli.

Siamo sempre basiti, inermi, distanti da questo mondo credendo che non tocchi noi o chi vogliamo bene ma invece il mostro è dietro l’angolo e miete vittime senza che nemmeno ce ne accorgiamo e qui l’autrice ce lo mette nero su bianco insieme ai silenzi e ai giudizi esterni che sentenziano invece di aiutare.

L’autrice ci mostra un film dove Davide, Tonia, Giuseppe, Adele, Martina e Fabrizio potremmo essere noi o i nostri fratelli, amici, vicini di casa; ci mostra il male, il bene e la paura.

Ci descrive cosa viene rovinato, perso o semplicemente dimenticato davanti alla droga, a quella subdola nemica che si vende bene e che miete vittime continuamente.

Una scrittura mai noiosa, impregnata di conoscenza, maturità, sostanza e studio.

Una trama delicata ma potente, piena di musica (letteralmente), di pathos, di speranza e di chiarezza.

Esperienza di vita che segnano, che emozionano e che portano inevitabilmente a riflettere sui più deboli e sui rischi dei nostri giovani tanto che ritengo che questa storia sarebbe perfettamente

e adatta come lettura per i gli adolescenti in modo da porre loro davanti ai rischi e ai dolori che ogni tipo di droga porta con sé.

Ecco amici miei, anche per oggi vi ho allietato (spero) con una nuova recensione e ora vi lascio con il mio consueto abbraccio.

La vostra Ele